Da un bel po’ pensavo di scrivere un post solo sui bambini maschi. Poi certamente in un secondo tempo mi esprimerò anche sulle bambine, avete presente quelle principesse col naso spesso all’insù, che non stanno maiii zitte e fanno 10.000 domande l’ora?
Oggi parto quindi dai “giovanissimi omini delle caverne”, uomini in erba, aspiranti cittadini del mondo. Perché temo, purtroppo, che siano una… specie da salvare.

Come tutti sappiamo il loro più grande avversario (travestito da radar onnipresente) si chiama “mamma ansiosa” o nella variante peggiore “papà ansioso”. Quando dico avversario, intendo un ostacolo a un sano sviluppo psico-fisico: quindi trattasi di un argomento molto serio (anche se forse sul momento potrebbe non sembrare tale).

Come forse già sapete, vedo anche tanti bambini in ambulatorio, e vi assicuro che è molto più complesso tenere buoni uno o due maschietti per un’ora, che una o due bambine.

La ragione è semplicissima: l’uomo, il maschio, in natura ha avuto per millenni dei compiti legati al movimento intenso (caccia, costruzione di abitazioni, difesa, lavoro della terra, e simili), mentre la donna, la femmina, faceva tutto il resto: figli e nutrizione, cioè ricerca e preparazione del cibo, organizzazione, produzione di vestiario, occuparsi del bello, aiutare occasionalmente durante la caccia (e certamente anche in guerra); insomma, spalleggiare i propri uomini quando era necessario.

Per essere chiari ai fini didattici si potrebbe affermare che la femmina è di tipo multi-centrico, mentre il maschio è tendenzialmente mono-centrico, cioè appassionato a uno o a due interessi al massimo nella vita in maniera intensa e possibilmente esclusiva.

Dobbiamo pure comprendere che il soggetto che ama quasi esclusivamente un solo aspetto nella vita, sarà, prima o poi, un esperto in quella disciplina. Per questo motivo è più facile trovare “grandi uomini/maschi” nella storia umana, piuttosto che grandi donne/femmine. Infatti le nostre piazze sono piene di questi maschioni immortalati nel bronzo per l’eternità, con o senza cavallo. I loro occhi sono spesso proiettati verso un punto lontano laddove dimora la loro passione, la loro battaglia, il loro ideale.
Invece, mancano quasi del tutto statue e monumenti di grandi donne. Forse perché la lista di ciò che hanno fatto sarebbe troppo lunga, e la targhetta descrittiva sarebbe una specie di enciclopedia dei mille grandi e piccoli meriti?

Certamente troviamo alcuni esempi marmorei del gentil sesso, cioè di donne, che si sono anche loro tuffate per tutta la vita in una causa che le appassionava, come ad esempio Marie Curie (lavori sul Radio, la base dei raggi X), oppure Jeanne d’Arc, che morì purtroppo sul rogo per il suo coraggio singolare.
Se non l’avete ancora letto, assaporate il libro “Ave Mary” della bravissima scrittrice sarda Michela Murgia (assolutamente illuminante per comprendere il ruolo della donna in Italia).

Ma torniamo di nuovo al nostro protagonista.
Fino ai 10-12 anni considerateli praticamente dei “piccoli uomini delle caverne”, che dovrebbero quindi condurre una vita simile.

Ma perché, mi chiederete? La risposta è semplice.

È soprattutto nei primi anni di vita che ri-viviamo in una sorta di acceleratore, quello che sono gli archetipi evolutivi del genere maschile e rispettivamente del genere femminile. Trattare giovani maschi e giovani femmine alla medesima maniera, sarebbe come considerare uguali i poli positivo e negativo dell’elettricità.

Anche il nostro corpo fisico durante la gravidanza nel grembo materno ripercorre addirittura l’intera evoluzione terrestre in un acceleratore del tempo: l’embrione è in principio costruito di cellule dell’oceano primordiale, poi passa allo stadio degli anfibi, e di seguito alla fase di mammifero. E finalmente diventerà un piccolo essere umano: che significa potenzialmente capacità di consapevolezza individuale e sociale, capacità creativa, senso della bellezza, senso poetico, senso filosofico, senso mistico, senso della compassione, senso dell’amore, senso di giustizia; tutti aspetti culturali, insomma; sì, perchè l’uomo si occupa di cultura, e questa si basa a sua volta sulla conoscenza e lo studio della natura. Ma, ahimè, qui casca spesso l’asino, purtroppo.

Il succo dell’intera questione del maschietto è in sintesi la sua grande forza fisica. Un maschio non dotato di forza muscolare difficilmente veniva considerato di valore dagli altri maschi, e nemmeno veniva preso in considerazione più di tanto dalla donna, che necessitava di un partner che proteggesse lei e la sua prole, e che le procurasse cibo a sufficienza. Diciamo la forza fisica era quella qualità dalla quale spuntavano le altre: coraggio, lealtà, resistenza, coerenza, bellezza fisica maschile.
E se siamo sincere, a quale donna non piace che il suo uomo si metta senza copertina sotto la nostra macchinina per cambiare la ruota bucata o magari le monti un mobile Ikea durante la notte e non molli finché non ha avvitato l’ultima vite.
L’uomo-poeta è una figura recente, e la donna che se lo sposa deve farsi forza da sola e sostituire lei stessa le caratteristiche tipiche maschili mancanti.

La storia del genere umano che viveva in simbiosi con la natura è molto, ma molto lunga. La cultura, invece, cambia di continuo e possiamo immaginarla come una veste che avvolge, che abbellisce (o al contrario che schiavizza, o strozza) la natura.

Osservate e ascoltate un gruppetto di maschi dai 3 ai 10, 12 anni: tutto ruota intorno al concetto della forza. Sia nei fatti che nelle parole, e ahimè ormai sempre di più anche nel mondo virtuale (TV, videogiochi, and so on).

Ai genitori dei miei piccoli pazienti maschi consiglio sempre di proporre loro giochi pesanti e appena (!) spostabili: allora sì che saranno veramente bambini felici (care mamme dei maschi, spalleggiate la mia tesi con qualche commento esperienziale, per favore. Grazie!). Tanto di solito se li inventano poi da soli quei giochi, magari spostando la confezione plastificata delle 6 bottiglie di acqua minerale, o la borsa della spesa, un divanetto, sedie, sgabelli, mobiletti, and last but not least indagano con passione e curiosità la cassetta degli attrezzi del papà, se disponibile e a portata di mano.

Uno specchio di questo comportamento possiamo osservarlo nello sport del calcio, che racchiude tutti gli elementi classici: la competizione, la collaborazione fra appartenenti della stessa tribù/squadra, l’eroe di turno, la preda (il pallone), insomma la condivisione nel bene e nel male.
Avete mai visto un maschietto che vuole imparare a chiudere da solo i lacci delle scarpe? (Si tratta di una funzione di micro-abilità-manuale, tipo rammendo). Io mai! Mentre le femmine ci provano già fin da piccolissime.

Invece, ogni attrezzo diventa per un maschietto un’arma indispensabile e immaginaria: mestoli, scopa, mattarello, bastone della tenda e bastoni in genere, e via dicendo. Mio figlio, ad esempio, battezzò verso i due anni come gioco preferito un cacciavite vero lungo 20 cm. (e se lo portava pure a letto e lo metteva sotto il materasso e giuro che abbiamo provato di tutto per fargli cambiare idea, ma nulla da fare). Osservandolo poi bene era molto cauto, come se sapesse del suo potenziale pericolo. Il giorno che lo perse nel campo d’erba alta dietro casa, fu una tragedia greca, e l’oggetto tanto amato non si poté sostituire con null’altro; passammo a grandi mattoni di legno (con mia gioia e un certo sollievo).

Dobbiamo ancora trattare un aspetto importantissimo: partecipare a qualcosa attivamente, e/o virtualmente è profondamente diverso.
Per darvi un esempio semplice e chiaro: se due maschietti si picchiano per davvero, sperimentano i limiti fisici molto presto: lividi, urla e pianti, dolore, sangue, contusioni.
Non fraintendetemi: non sono a favore della violenza, no, bensì a favore della comprensione che il nostro corpo è fatto di carne vulnerabile. Meglio vedere e sperimentare una ferita a 6 o 7 anni che a 15 o 16 magari sotto l’influenza dell’alcool. Oggigiorno a quasi tutti i maschi viene impedito questo confronto reale/concreto, passando direttamente ai mezzi virtuali: cartoni animati spesso troppo violenti, videogiochi, play station, e chi più ne ha, più ne metta.

Qualche mese fa ho visto un “gioco datato” che si chiama “San Andreas”: il giocatore/eroe!/protagonista uccide persone in strada: poliziotti, donne con la borsa della spesa, uomini di ogni tipo e razza; mancano i bambini (meno male… una piccola soglia etica!?). In Germania ci giocano soprattutto i bambini sotto i 10 anni. “Fa figo” perché a loro è proibito, e si compra ovunque tranquillamente, e temo che in Italia non sia diverso.

Partecipare virtualmente o realmente a una scena violenta fa reagire il nostro organismo (e soprattutto il bambino/ragazzo giovane – che non hanno la capacità di supervisione di un adulto) nella stessa maniera: cioè con emissione di adrenalina e di cortisolo. Altri ormoni importanti sono le endorfine (ci sono tanti tipi e loro si liberano quando si vince e creano “felicità”).

La scienza è ancora in pieno studio sui sistemi di dipendenza creati dal nostro cervello.
Per semplificare possiamo dire che si attinge a meccanismi e sistemi ormonali arcaici della sopravvivenza. In Medicina lo chiamiamo sommariamente il “sistema fuga e lotta”, o Sistema Ortosimpatico che attiva soprattutto i muscoli (gambe irrequiete), il cuore (ne deriva agitazione, scatti, nervosismo), il cervello (ipersensibilità, iper-reattività, insonnia).

Mentre il dolore vero, le urla vere e le ferite vere auto-limitano il “piacere” della competizione e delle vincite, se invece il bambino vede e vive la situazione solo virtualmente e ci mangia pure qualche biscotto o cioccolatino contemporaneamente, o riceve le coccole da un fratello maggiore, o dalla mamma/papà, la questione diventa allora molto più complicata, e direi quasi… perversa.

Ricordiamoci che il nostro sistema biologico è estremamente plastico nei primi anni di vita. È profondamente diverso iniziare a 50 anni stare 4 ore su un videogioco o a 5-6 anni. Quindi la questione è assai grave se la violenza (pur virtuale) accompagna la vita quotidiana già in tenerissima età.

In più di un’occasione ho assistito ultimamente per caso a scene di violenza per strada (per esempio ubriachi che si picchiano, e simili) dove i passanti giovani continuavano a leccare il loro gelato mentre altri magari chiamavano tranquillamente le forze dell’ordine con il cellulare.
Solo qualche persona anziana aveva la faccia piena di orrore, ricordando magari personali episodi legati alla loro infanzia o alla guerra, con tutto ciò che succede in tali crudeli realtà.
Le nuove generazioni cresciute nella pace mangiano invece i pop-corn mentre il buono o il cattivo di turno viene maltrattato (per ora al cinema) senza battere ciglio. Tutto questo non fa ridere proprio per nulla. Anzi, trovo sia un gravissimo aspetto di cui si parla ancora troppo poco.

E così ci siamo tristemente abituati da tempo ai maschietti di buona famiglia che di domenica vanno al ristorante, e che, mentre gli adulti chiacchierano fra loro, giocano con disinvoltura con la play-qualcosa, e fanno a gara su quanti mostri/esseri hanno ammazzato.
Tutto questo mi genera i brividi lungo la spina dorsale. Molti genitori sono stancamente rassegnati; tanto fanno tutti così, dicono.
Spesso magari urlano e minacciano di togliere il gioco al bambino se non fanno questo o quello, ma poi non mettono in pratica quanto quanto annunciato. Questa scarsa coerenza fra il dire e il fare è un metodo garantito per perdere in breve tempo ogni autorevolezza.

Non che io non comprenda, per carità: si sa, il genitore è troppo spesso stanco, frustrato magari dal suo lavoro, dal dover sempre correre, etc. etc., ma questo non cambia il risultato. Siamo certe volte circondati da branchi di “mammoni viziati” che non ascoltano più, e a scuola magari non si concentrano.
E sempre di più viene diagnosticata “la sindrome dell’iperattività”, che è comunque un “terminale” multifattoriale.

Ma adesso basta con tutte le premesse. Passiamo ai consigli pratici: vi elenco qualche idea e alcune proposte.

  • Veramente fortunato chi vive in campagna: vita all’aria aperta ogni giorno, è possibile spostare legna, sassi, scoprire/esplorare la terra, gli animali, stare a piedi nudi sul prato, osservare le formiche e le lumache (senza pestarle però, altrimenti una immediata piccola ma seria lezione serve proprio: infatti, chi pesta oggi senza riguardo gli insetti, pesterà più facilmente i più deboli domani);
  • chi vive in appartamento si deve invece ingegnare: frequentare magari regolarmente un agriturismo vicino a casa, per vedere e toccare qualche animale vero. Andate a cercare parchi grandi fuori città dove si cammina davvero e dove la natura è un po’ più selvaggia. I maschi adorano ogni tipo di buco in terra, tane, alberi vecchi caduti;
  • a casa allestite una stanza senza spigoli e con mobili non pregiati e oggetti da spostare: va bene anche uno scatolone di cartone da imballaggio per lavatrice o simili: diventano casette, navi, velivoli, tane, e spesso poi vengono distrutte, ma anche questa è una fase da sperimentare;
  • giochi di movimento finalizzati: saltare su una gamba, raccogliere oggetti piccoli da terra con i piedi nudi. Correre per casa con in mano un cucchiaio, dove avete appoggiato per esempio l’uovo da rammendo di legno: il compito/l’obiettivo sta nel correre senza farlo cadere, ovviamente. Raccogliere stoffe e materiali simili da terra con la bocca muovendosi a quattro zampe come un animale. Saltare su un vecchio materasso a molle messo a terra;
  • stare fermi su una gamba (senza appoggiarsi) e contare: forse riderete di questa mia “proposta stupidina”, invece c’è poco da ridere! Da anni faccio personalmente a gara in ambulatorio coi bimbi a stare su una gamba almeno per un minuto. Il risultato è avvilente. Quasi nessun bambino regge più di 30-40 secondi! Purtroppo vince sempre la “dottora”. Da bambini (nel cortile) noi contavamo fino a 500 (!) stando su una gamba. Prendete in considerazione il fatto che l’equilibrio fisico è un’ottima base per l’equilibrio psichico;
  • un oggetto stupendo e utilissimo è il trapezio, lo trovate per esempio qui. Lo trovo una soluzione a dir poco geniale: non occupa spazio e il bambino impara a conoscere le forze e i limiti del proprio corpo. Rende le spalle robuste e belle larghe, e modella la schiena dritta. Educa inoltre al senso dell’equilibrio. Chi ha lo spazio può allestire anche un tappeto elastico: lo usano perfino gli astronauti per allenare il senso dell’equilibrio;
  • ovviamente sono utilissimi gli sport. Mi piace la lotta greco-romana, il judo e simili discipline dove è fondamentale la disciplina. Dai 7-8 anni va bene anche l’arrampicata sportiva. Il calcio se condotto bene serve per sviluppare la lealtà e la collaborazione. Purtroppo si vedono perfino nei piccolissimi tutti tratti della competizione integralista (con i genitori in panchina…);
  • vacanze esclusivamente rustiche: campeggi, tenda, vanno bene anche piccoli bungalow (per chi odia la tenda). I bambini adorano l’atmosfera dei campeggi (tipo campo indiano). Vacanze nelle recettività familiari come si trovano per esempio in Alto Adige, o nel monte più vicino a casa. Provate lo Slow-Trekking: per me sarà la vacanza del futuro. Costa poco, non serve avere un corpo da atleti, e i bambini imparano mille cose (e pure noi grandi).

Ci sono sicuramente altre cose da inventare; magari avete un’esperienza e trucchi da raccontare e da condividere?

Come in tutte le questioni umane esistono comunque e per fortuna le eccezioni, che come ben sappiamo confermano la regola.

Ah, le mamme dei maschietti sono quasi sempre esaurite dal punto di vista fisico… ma poi le rassicuro e le consolo che è un male minore: perché le bambine in compenso pestano la psiche delle care, care mamme!