Ogni medico, ogni paziente, ogni potenziale medico e ogni potenziale paziente dovrebbe addentrarsi ogni tanto in una meditazione individuale sul “concetto salute”, giusto per porre un valido contrappeso alle sempre più indigeste inform-azioni sulle ormai infinite malattie.

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Quando sintonizzo le orecchie al mercato, al bar, nei negozietti, in fila alla posta, o durante qualche cena con amici e conoscenti, salta fuori inevitabilmente, e direi anche insistentemente, la storia di qualche malato grave o la paura di avere qualche morbo oscuro, in attesa di essere scoperto.

“Ho paura dei brutti mali, ergo sum” potrebbe essere scritto sui portoni di molte case, a rimpiazzare le antiche immagini della Madonna, delle Sante e dei Santi, oppure gli eloquenti e pagani auguri per la salute e la prosperità del raccolto.

Scherzo?
No, non scherzo proprio.

Parlare di malattie è diventato un nostro quotidiano modus parlandi, un must, una mera normalità, insieme alle lamentazioni sul mondo sta crollando, sui tempi belli che sono finiti, sulla corruzione che dilaga, e sul fatto che siamo pesci troppo piccoli prontamente macinati dal sistema.

Guardando certe trasmissioni televisive o leggendo giornali e riviste, sembrerebbe che la salute si trovi soprattutto in farmacia: vitamine singole o mixate, omega a-b-c, integratori per ogni categoria immaginabile (bimbi-scolari-sportivi-manager-donne in menopausa, e via dicendo), fermenti lattici potenziati; la lista è lunghissima.
Come se fosse da sempre stato così, si “acquista la salute”, facendo sempre più vaccini (ormai mancano solo quelli contro la demenza) e indagini diagnostiche (perfino ogni mese). Nel frattempo in molti abusano tranquillamente e con grande disinvoltura di farmaci puramente sintomatici, scordandosi che gli effetti collaterali si accumulano da qualche parte, finchè poi la botte (=il sistema connettivale, che è la nostra pattumiera interna) è piena, e allora benvenuti nel club dei reumatici, delle malattie auto-immuni, degli allergici, per nominare solo alcune delle patologie croniche che segnalano chiaramente il crollo del sistema di autoregolazione (alias medico interno).
Già… “i nodi vengono al pettine”, declama il detto popolare.

Pure al supermercato continuano a nascere come funghi miracolosi prodotti salutistici: cibi arricchiti di oligoelementi speciali, yogurt ai fermenti super extra per coccolare l’intestino, cornflakes o altri cereali addizionati di calcio & Co da Superman; e non dimentichiamo le gamme alimentari dei “senza”: senza zucchero, senza grassi, senza farina, senza uova, senza lievito, senza glutine, senza calorie, senza sale… (e qui mi fermo). Mah!

Sembra ancora una volta che il mondo sia fatto solo di buoni e di cattivi. I cattivi di turno sono i geni impazziti, l’ereditarietà malefica, i grassi, gli zuccheri, gli allergeni. Virus e batteri sono diventati terroristi malefici, che attaccano la nostra fragile e innocente salute. E le malattie infettive (in passato denominate “infantili”) a sentir certe voci si sono trasformate in potenziali sterminatori dell’infante. Senza differenziare alcunché, considerando ad esempio che un bambino che soffre di fame, denutrizione, stress cronico, ovviamente rischia quando si ammala di morbillo o altre malattie importanti. Naturalmente in questo caso la prevenzione giusta non è certo il vaccino, bensì il cibo sufficiente e di valore nutritivo, le reti fognarie funzionanti, la vita sociale degna di un essere umano.

La mia generazione ha avuto praticamente tutte le patologie infettive, e proprio grazie a quelle si è rinforzata, superandole con le nostre forze, insite in noi, e grazie a cure molto semplici: pazienza, conoscenza e un’intensa collaborazione fra madri e vicine di casa.

Rileggete il mio post sui batteri: è lungo, ma spiega bene l’altra faccia dei germi, quella salutare e regolatrice. Giusto per non cascare nella sempre più aggressiva realtà mediatica, che ci rammenta sempre e solo il perenne pericolo dei micro-mostri.

Summa summarum siamo sempre in guerra: si combatte contro i germi, contro geni impazziti, contro le infiammazioni e le febbri, contro il peso, contro le allergie, contro gli auto-anticorpi, contro potenziali sovra-infezioni, contro il colesterolo, contro… e ancora contro!

Cosa diranno mai della nostra epoca fra 3.000 o 4.000 anni!?

Forse ci ricorderanno come quelli dell’epoca di coloro che avrebbero potuto creare un paradiso terrestre, ma che per un qualche problema di comunicazione (comunis = in sintonia) hanno perso la bussola, e così alla fine, nella generale confusione, combattevano tutti contro tutti.

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Premesso tutto ciò, vorrei darvi ora qualche elemento utile per ragionare al meglio.

Il “genitore” del nostro modus pensandi è indubbiamente il pensiero dualistico, purtroppo talmente incallito che abbiamo dimenticato le sue profonde radici: la polarità.

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Ragionare attraverso una visione di polarità (due poli interagiscono fra di loro, fertilizzandosi a vicenda) è molto meglio, piuttosto che attraverso un approccio di opposizioni, dove si è costretti a scegliere senza mediazione alcuna, senza vie di mezzo, senza sfumature.
Indubbiamente esistono situazioni in cui la scelta rimane obbligata, ma tantissime altre situazioni apparentemente opposte, possono trasformarsi in polarità: è solo una questione di abitudini culturali e quindi mentali.

Prendiamo in esame qualche situazione concreta.

  • Il polo positivo e quello negativo creano l’elettricità e il magnetismo… e qui direi siamo tutti in accordo;
  • le nostre due mani sono “opposte”, ma insieme sanno abbracciare i nostri cari, lavorare, creare… quindi sono poli “complementari”;
  • il bambino e l’anziano possono celebrare insieme il presente (così assente nelle nostre teste da adulti, sempre di corsa);
  • l’inverno lavora sotto terra nelle radici e l’estate si esprime sopra di essa; quindi collaborano per un fine ultimo: crescita-morte-rigenerazione (chiamata anche metamorfosi);
  • un amico creativo e uno invece analitico inventano e realizzano al meglio un’idea/un progetto;
  • il medico curioso si interessa e studia le malattie e la vita umana anche attraverso i mille racconti dei suoi pazienti e applica poi la sua arte ad personam, come fa del resto ogni brava sarta che crea vestiti su misura;
  • pure il paziente curioso (sperando che lo sia) chiede al “fratello maggiore” (il dottore) di essere illuminato sulle origini dei suoi disturbi e come affrontarli al meglio anche con le proprie forze.

Vedete quindi quanti campi (=terzo elemento o “figlio”) si generano dai poli complementari, inter-attivi; spero di cuore che anche i medici difendano le terapie ad personam.
I protocolli terapeutici potranno certamente essere indicazioni e guide di massima, ma non dovrebbero andare mai oltre un certo limite. La modulazione individuale è sacra ed è un inviolabile diritto umano.
Invece, purtroppo, assistiamo a una sempre più cieca applicazione dei decantati “protocolli terapeutici”, concentrando l’attenzione unicamente ed esclusivamente sulla patologia, senza alcuna contestualizzazione (età-stili di vita-lavoro-qualità di pensiero-carattere-alimentazione-cultura, contesto sociale, e via dicendo).

Senza dubbio dobbiamo fare ricerca, ma sarebbe opportuno farla anche sui singoli casi, sulle eccezioni, sui miracoli; sui casi rari, perfino rarissimi.

Eppure, ad esempio nello sport, le eccezioni, ovvero gli atleti migliori, vengono festeggiati da tutti. Invece, se un paziente guarisce ad esempio da solo (auto-gestendosi) da una patologia definita “inguaribile”, nessuno lo rammenta o si incuriosisce sul suo caso, nessuno lo porta a un congresso, non ci sono studiosi curiosi e aperti che se ne occupano per scoprire il segreto della sua guarigione. A volte magari capita, sì, ma rispetto ai casi realmente esistenti, succede davvero raramente.
Se alla maratona olimpionica corre un uomo o una donna sconosciuto/a, mai visto/a prima, e vince (senza l’apparato di management e allenatori alle spalle), magari a piedi nudi, e magari perché si è auto-esercitato nella steppa, viene ammirato dal mondo intero.
Quindi, mi chiedo, non sarebbe bello se si istituisse una Facoltà inter-disciplinare dove si studiano i cosidetti “miracolati”? Magari per scoprire il comune denominatore, o altro, ma soprattutto per documentare vie particolari di guarigione: esempi utili per l’intera comunità umana.

Avete forse notato che ora si propone spesso di *convivere* con la propria malattia. Quasi nessuno invece vi propone o cerca insieme a voi la via della guarigione: la meravigliosa restitutio ad integrum. Non analizzerò il perché di questa strategia di normalizzazione delle patologie croniche: proseguo piuttosto con altre riflessioni utili per la nostra salute.

È necessario comunque studiare un pochino, in fondo basta leggere qualche libro scritto da certi ricercatori, quelli che io amo definire “i toccati dal cielo”, amanti della vita e dei suoi mille segreti: quelli che si fanno molte domande e formulano qualche soluzione pratica e poco o per nulla costosa.
La vita è un universo interconnesso (un enorme sistema) e sarà sempre pieno di domande da porre; c’è veramente ancora moltissimo da scoprire, e non solo dagli esperti, bensì da ognuno di noi.

“Lo scienziato non è una persona che dà le risposte giuste, è una persona che pone le domande giuste.”
Claude Levi-Strauss

Leggete e studiate assolutamente Rupert Sheldrake e le sue scoperte dei campi morfici: già solo con questo studio la vostra vita assaporerà un nuovo gusto, svilupperete la fierezza di appartenere a un incredibile insieme, chiamato Vita, e capirete che ognuno di noi può fare/creare davvero la sua piccola grande opera, per sè e per gli altri. Diversi dei suoi tanti libri sono tradotti in italiano.

E come la mettiamo quindi con la salute, e con le migliaia di malattie? Com’è che abbiamo *una sola* salute, e *migliaia* di nomi di malattie?! Questo è un punto chiave importantissimo.

Anche qui possiamo dire che Salute e Malattia non sono concetti separati e differenti, ma sono anzi due poli (polarità) in perenne comunicazione, convivenza e interlocuzione fra loro; del resto il nostro corpo è un continuum di cellule che nascono e muoiono, con un perenne bilancio dinamico.

“Nessuno è perfetto”, dice il proverbio popolare; quanto è vera e quanto è bella questa frase. Salute e Malattia convivono come i due piatti di una bilancia, e ogni giorno aggiungiamo un pezzettino su un lato piuttosto che sull’altro. La salute non è un’insieme di dati statici, innati, o di fortuna: è una conferma quotidiana della vita.
È come l’amore, che va nutrito ogni giorno.

Riassumendo si potrebbe dire che a volte prevalgono i principi di salute: ordine-ritmo-capacità di adattamento-coerenza-autoregolazione-autorigenerazione-produzione di energia; altre volte prevalgono i principi patologici: disregulazione-alterazione dei ritmi-incapacità di adattamento-irrigidimento-sfaldamento-crescita selvaggia-disordine locale o generalizzato-consumo eccessivo di energia.

Quando avete invece un determinato sintomo, potete con un po’ di buon senso comprendere se è di auto-regolazione, o invece dis-regolativo.
Se mangiate troppo di sera e prendete pure freddo alla pancia, non avete certo preso un “virus”, bensì il corpo si sta autoregolando da solo con una pulizia, pur rustica, ma efficiente (diarrea). quindi la terapia sarà semplicemente di sostegno: bere acqua calda, semi-digiuno, stare al calduccio con la coperta di lana e magari qualche rimedio naturale. Spesso basta anche il semplice riposo: mi piace denominarlo il “Dr. Tempo”, uno di quei dottori che lavora gratis.

Se invece un bambino di circa 20 mesi, dopo un difficile allattamento artificiale, uno svezzamento con liofilizzati, 18 dosi di vaccini, 8-10 antibiotici e/o cortisone, antipiretici ad ogni micro-sintomo del sistema immunitario e lo stare 15 mesi su 20 in casa (perché sempre raffreddato), cibo spazzatura davanti ai cartoni animati, ha dei problemi cronici di salute, credo sia vergognoso parlare di immunodeficienza, allergie o intolleranze ereditate! Per me sono intolleranze *acquisite*.

Questo si evince per esempio dal fatto che i bambini che mangiano veramente bene, che vivono molto e liberamente all’aperto, che non sono vaccinati e che non prendono farmaci soppressivi, ma solo rimedi che sostengono i normali processi di auto-immunizzazione, sono estremamente più robusti rispetto ai loro coetanei “protetti” in anticipo. Per esempio, la decisione di dare un antibiotico in un quadro virale per evitare le complicanze batteriche, è come aprire l’ombrello prima che piova.

Il nostro sistema immunitario si auto-allena in base agli stimoli esterni, in modo naturale durante i primi 7 anni; poi tende a ripetere quanto ha appreso, e questo in molti casi vuol dire *ipo* o *iper* reattività immunitaria, e credetemi, non è facilissimo fare un “reset” quando le fondamenta dell’immunità sono ormai gettate. Alla nascita abbiamo un sistema immunitario molto simile (tutti noi umani), una sorta di hardware: il software invece è specifico, acquisito, quindi cambia a seconda dell’habitat e viene appunto generato attivamente nel primo settennio.

Per questo motivo per esempio un cinquantenne con il mal di gola va probabilmente a lavorare, mentre un ventenne rimane a casa (terrore dello streptococco). Questo esempio è esemplificativo, ma credo sia eloquente. Anche l’albero dipende dalla forza delle sue radici: se avete tempo, ri-leggetevi anche il post sul sistema immunitario.

Alla fine del mio excursus sulla salute, vorrei presentarvi un ricercatore molto ma molto interessante: Aaron Antonovsky, sociologo della medicina, americano, di origine israeliana.
Sono sue le bellissime ricerche sulla “genesi della salute” ed è lui che ha coniato il termine “Salutogenesi”.

Antonovsky ebbe una sana e felice intuizione: spostò il focus dalla malattia alla salute. Studiò persone che avevano vissuto situazioni di stress pressoché identiche (in campi di concentramento, ad esempio) e notò che alcuni ne uscirono meno provati fisicamente, e soprattutto psichicamente indenni. La domanda chiave, e all’epoca innovativa, che lui si pose, fu: “Che cosa mantiene una buona salute, nonostante eventi duri, traumatici, avversi, difficili e critici della vita?”

Riassumendo possiamo dire che per Antonovsky salute e malattia sono due poli in perenne comunicazione (come vi dicevo sopra). La lancetta della bilancia si sposta a favore dell’uno o dell’altro in base alla capacità di essere coerenti con la situazione vissuta. Per Antonovsky la salute non è un modus statico, bensì il risultato di un’interazione continua tra fattori d’aggravio e fattori di protezione; in altre parole la salute deve essere ricreata e mantenuta attraverso le sfide e il superamento quotidiano delle difficoltà.

Antonovsky sviluppò il concetto delle “risorse generali di resistenza”, che includono risorse fisiche, personali, psichiche, interpersonali, socioculturali e materiali; una somma di competenze di superamento e capacità costruttive dinanzi alle problematiche che insorgono nella vita.

Forse sotto sotto lo abbiamo sempre saputo, vero? Quasi tutti conosciamo una o due persone che la scampano sempre, e Antonovsky ha dato loro dignità scientifica, grazie alla ancora purtroppo poco conosciuta Salutogenesi. Se volete saperne di più, guardate per esempio qui oppure qui; oppure ne parla anche questo curiosissimo blog, per chi ama le allegre fusioni fra oriente e occidente: antroposofia-macrobiotica-i ching… con una simpatica dose di humor (sito non adatto agli integralisti).

Uhhh, ho finito. Erano due mesi che non scrivevo, avevo bisogno di una pausa, nel senso che… ho fatto altre mille cose :-) Alla prossima!

p.s.: poche settimane fa ho avuto occasione di seguire la bella conferenza di Zygmund Bauman a Carpi (Modena) durante il Festival della Filosofia. Ha parlato dell’amore ai tempi di facebook. Baumann è da leggere, provate a trovare un po’ di tempo sul divano, magari staccando la televisione o internet ;-) Vi lascio due dei suoi spunti.

“L’attenzione verso il corpo si è trasformata in una preoccupazione assoluta e nel più ambìto passatempo della nostra epoca.”
Zygmund Baumann, La società dell’incertezza

“Tutti i punti di riferimento che davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione delle strategie di vita (i posti di lavoro, le capacità, i legami personali, i modelli di convenienza e decoro, i concetti di salute e malattia, i valori che si pensava andassero coltivati e i modi collaudati per farlo), tutti questi e molti altri punti di riferimento un tempo stabili sembrano in piena trasformazione. Si ha la sensazione che vengano giocati molti giochi contemporaneamente, e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno. Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso.”
Zygmund Baumann, L’istruzione nell’età postmoderna