Eccomi rientrata dal seminario a Ca-Shin con il bravo Prof Giannattasio e la vivace e curiosa Izn/Sonia del pasto nudo.
Un incontro bello, umano, perfino intimo per certi versi, visto che pochi hanno deciso di salire la bella strada collinare fino a Parco Cavaioni per partecipare alla discussione sull’alimentazione consapevole.

tutti contro tutti

Ma non sono certamente i numeri che contano; tutti sono rimasti attenti con occhi e orecchie vigilissimi fino alla fine… nessuno nemmeno semi-addormentato.
Il professore (come ogni vero professore) non si è scomposto, anzi era proprio contento. La piccola dimensione gli ha permesso di esprimersi più liberamente e gli scambi e gli interventi hanno arricchito tutti i partecipanti, relatori inclusi.

Ora non intendo certo riassumervi tutto quanto è stato detto, ma vorrei condividere alcuni punti che ho lasciato decantare in me stessa dopo questa stimolante esperienza.

La vera forza della consapevolezza è l’unione di tutti noi.

Penso che in questo momento storico dobbiamo essere tutti uniti: vegetariani e non vegetariani, vegani ed amanti della carne, casalinghe e professionisti, giovani e anziani (si spera saggi), politici e consumatori (mio padre diceva: “sotto il vestito siamo tutti nudi”; per sottolineare che le radici sono uguali per tutti noi).

Come impostare una sana base per la nostra alimentazione.

– prodotti alimentari di stagione;
– prodotti locali, salvaguardia e recupero della biodiversità;
– alta (altissima) qualità vitale dei prodotti;
produzioni biologiche/biodinamiche/permacoltura, senza produrre inquinamento dei biosistemi; terra, aria, acque, animali, insetti, api, e infine l’uomo che è l’ultimo anello della catena. No agli ogm, no alle monocolture, no agli spostamenti globali delle merci alimentari (qui da me vedo sempre le pere dell’argentina… e le nostre vanno al macero), no alle conserve, no ai cibi precotti, no ai cibi freschi *finti* (come le mele che arrivano da noi come “fresche” dopo 24 mesi di cella frigorifera).
– rispettoso allevamento per gli animali domestici;
Vita salutare nel loro habitat; consumo ridotto di carne, mirato, consapevole. Il prezzo di vendita più alto potrebbe aiutare a realizzare questo progetto e ridurre in modo naturale il consumo eccessivo e sconsiderato di questo alimento.
– educazione scolastica alimentare vera (!);
Conoscere e riconoscere i cibi e rispettarne il valore. Ripristinare vere cucine nelle scuole (creando nuovi posti di lavoro!), eliminare i piatti di plastica(che orrore!!!!!!), lo spreco alimentare (anti-educativo al massimo), partecipazione attiva degli scolari alla mensa, creazione di orti scolastici per trasmettere ai bambini e ai ragazzi la fatica che bisogna fare per coltivare il cibo; corsi di cucina per i ragazzi (che sono bravissimi).
– mangiare meno (!) e meglio (il 50% del cibo viene gettato);
– il cibo come vera fonte di vita e vitalità;
il cibo dona forza, salute e capacità di guarigione (soprattutto quello vegetale).
– la salute di ogni bambino, futuro adulto, dipende dalla salute della madre e da come si alimenta prima e durante la gravidanza (leggete il nuovo libro del prof Giannattasio;
– la preparazione del cibo a casa come forma di cultura, condivisione e fonte di gioia e soddisfazione. Cucinare è un’arte antica;
– spostare le nostre energie sulle vere conoscenze alimentari tradizionali, che sono legate anche al buon senso;
– uscire dalla trappola della paura (il sapere come antidoto alla paura);
– prendersi le proprie responsabilità per la nostra salute;
– fare rete/reti del vero sapere (sistema usato dagli insetti e dalle piante, e perfino dalle muffe, che sono molto più furbe di noi: si scambiano tutte le informazioni per vivere e sopravvivere… mica brevettano le loro scoperte);
– sostenere i piccoli e piccolissimi produttori, acquistando le loro merci;
– creare contatti personali fra produttori e consumatori (fra veri amici non ci si frega).

È necessario prendere coscienza che il potere economico trae forza da:

1) la nostra ignoranza e confusione;
2) la nostra paura;
3) le nostre frustrazioni (chi è contento non ha bisogno di beni di lusso);
4) le infinite piccole guerre fra di noi (che disperdono inutilmente le nostre preziose energie). Quest’ultimo punto mi pare particolarmente significativo.

Allacciandomi a questi quattro punti vorrei ragionare su un’esempio pratico: la questione del latte bovino.
Sostenere tout court che il latte faccia bene o faccia male all’uomo è un esempio classico e genera discussioni eterne (soprattutto in rete).

Se qualcuno mi chiederà un parere su questo argomento d’ora in poi gli porrò queste domande:

a) di *quale latte stiamo parlando?
crudo e fresco, magari appena munto, biologico, biodinamico, da stalla o da pascolo… omogeneizzato e/o pastorizzato, microfiltrato, light, UHT, adattato in polvere… e via dicendo.

Definiamo bene la terminologia. Il vero latte è quel liquido ricco e vivo che esce dalla mammella di una mucca che ha partorito un vitello e che vive in un habitat a lei congeniale, in simbiosi secolare con la civiltà contadina. Essa pascola all’aperto, mangiando erba di stagione finché non si sazia. L’inverno, se rigido, lo passa in una stalla dove viene nutrita con il fieno.

per latte io intendo quindi quello con la panna che affiora in superficie, pieno di profumi e di aromi a seconda della stagione. Può sembrare un’immagine romantica, ma è esattamente quello che bevevano i contadini poco più di una generazione fa.
Tutti gli altri “latti” sono, strettamente parlando, “derivati del latte”, e come tali vanno definiti e differenziati.
Capite quindi che chiedersi se il latte fa bene o fa male è una domanda a dir poco superficiale, forse stupida… sicuramente troppo riduttiva.

b) *Chi* beve il bicchiere di latte?
Heidi, bimba dei monti, che vive all’aperto 10 ore al giorno; Matteo, pallido bimbo milanese con la dermatite; la rustica nonna Rina che decide sempre tutto da sola; il bambino adottato africano; una istintiva donna gravida; il direttore di banca cresciuto in fattoria 50 anni fa; il casaro della Val Padana; la ragazzina con la febbre; un bambino indiano nella sua campagna nativa; il bimbo zingaro in Romania; il muratore quando rientra affamato a casa; il celiaco in vacanza in Svizzera; il nonno morente che lo beve come un’ultimo baluardo di gioventù… il contesto è fondamentale, e questo mi porta direttamente alla prossima domanda.

c) in quale *contesto* si consuma il latte scelto?
Per quotidiana abitudine sociale/famigliare: “tutti sanno che il latte fa bene”; per costrizione: “bevi, che ti fa bene per le ossa”, per memoria emozionale: nonna+coccole+tazza di latte = bel ricordo; dopo una giornata di trekking sulle alpi, quando la bella padrona di casa offre agli ospiti un bicchiere di latte appena munto; per necessità: frigo vuoto fatta eccezione per il latte del gatto; per fame vera: sono bloccato da 12 ore nell’ascensore con il latte acquistato per la vicina di casa; per prescrizione medica: “combatte l’osteoporosi”; come quasi-mono-alimento: persona con disturbi alimentari. Insomma avrete compreso senza dubbio che il contesto è indispensabile per dare una risposta intelligente.

C’è poi da porre ovviamente la questione *etica*: coloro che decidono di rifiutare il latte per motivi di convinzione personale, come per esempio dichiarano i vegani. Non ho nulla da obbiettare su questa scelta, purché non si voglia convincere il mondo intero a seguire tale strada.

Abbandonare gradualmente i prodotti animali e i loro derivati (latte, latticini) ha numerosi vantaggi in determinate situazioni che però *non* sono generalizzabili per tutti. Non dobbiamo semplificare e standardizzare troppo; tutto va contestualizzato e ponderato con buon senso.

Mi pare invece veramente urgente come primo passo (da sostenere tutti insieme) abolire l’allevamento intensivo degli animali domestici e tornare al “buon senso” (il professor Giannattasio usa spesso questo termine). Il buon senso è un metro che deriva dall’esperienza di generazioni e generazioni di vita rurale, che ha lasciato un vastissimo e differenziato patrimonio conoscitivo pratico. Quella base va certamente rivalutata e migliorata in un processo continuo.

Noi tutti mettiamo ogni giorno il cibo nella borsa della spesa e nel carrello. Già semplicemente smettendo per sempre di comperare buste di insalata pre-lavata e carne da allevamento il mercato sarà costretto a cambiare atteggiamento. Looceano è fatto di gocce, ed ogni goccia dovrebbe apprezzare il proprio valore, ai fini di una grande opera.

L’uomo ha un ruolo unico in natura: produrre cultura (parola che proviene dai due termini “coltivare” e “culto”). Un’opera per nulla facile, e tanto meno scontata. Pensate allo sciame di api che attacca il ladro del loro miele, o che raccoglie il nettare dei fiori (tutte le api, insieme!) nella stagione delle fioriture.

Se non l’avete ancora fatto, andate a vedere il film “La vita di Pi”. Tratta, tra diversi grandi temi umani, anche le scelte difficili del suo protagonista vegetariano, e dei carnivori umani, oltre al carnivoro per eccellenza, la tigre, il selvaggio e fiero protagonista di questo film veramente unico, di quellic he anche dopo averli visti continua a lavorare nell’animo.

Vi lascio con un’ultima riflessione etimologica. Esaminate il significato della parola “madre”, e vi renderete conto come da essa è facile arrivare alla terra: mater/materia/terra.

È importante che tutti noi ci occupiamo insieme della materia con i nostri sensi e le nostre mani materne; magari sperimentando, terra-terra, un per-corso sulla pasta madre :-)